Mai dire MAI: a proposito dell’accordo sul libero scambio atlantico (TTIP)

MAI

Fra il 1995 e il 1997 gli allora ventinove stati membri dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, OECD in inglese) negoziarono segretamente un accordo commerciale denominato MAI (Multilateral Agreement on Investment).
Obiettivo ufficiale era ottenere più coerenti, sicure, stabili e omogenee condizioni operative per gli investitori, con regole trasparenti e vincolanti per tutti. Questo avrebbe finalmente messo fine al caos dei trattati bilaterali, promuovendo cooperazione e sviluppo.
Quando però alcune organizzazioni non governative francesi vennero in possesso dei termini dell’accordo, si scoprirono dettagli allarmanti:

 – Gli investitori potevano citare in giudizio un Paese, qualora avessero giudicato le sue politiche economiche lesive dei loro interessi.
– Gli Stati si assumevano la responsabilità di qualsiasi intralcio all’attività economica (scioperi, manifestazioni).  Come garanti dell’attività potevano essere chiamato a indennizzare l’impresa che a questo titolo avesse subito danni.
– Venivano contestate: le leggi finalizzate allo sviluppo delle aree depresse, certe leggi di aiuto al lavoro (lavoratori disabili, per esempio), le leggi sulla protezione ambientale, quelle che favorivano le entità locali.
– I contenziosi fra stati e multinazionali dovevano essere risolti da arbitraggi in corti internazionali anziché in tribunali locali.

In breve, l’accordo doveva assicura una concorrenza perfetta, introducendo una serie di vincoli per gli Stati e nessuno per gli investitori.
A quell’epoca le persone non avevano ancora subito i traumi della shock economy ed erano reattive. Allertata dalle ONG, ci fu una mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale – grazie anche all’uso massiccio, per la prima volta, di Internet come veicolo di informazione e organizzazione della protesta – tale che il progetto venne finalmente accantonato nel 1998.

Accantonato, ma non abbandonato.

TTIP

TTIP

Qualcuno deve aver pensato che questi sono i tempi ideali per riproporlo: media compiacenti, popolazioni distratte da problemi più impellenti, il pensiero unico dell’ideologia neoliberista come modello senza alternative. Ed ecco che il progetto MAI riappare sotto un diverso acronimo: TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).
Se non ne avete sentito parlare non è per disattenzione ma perché sui media se ne parla davvero poco, e quel poco è reticente.

I negoziati sono in corso da luglio 2013, e dovrebbero concludersi entro la fine dell’anno. A gestirli, Karel de Gucht, Commissario Europeo per il Commercio, e Michael Froman, rappresentante per il commercio nell’Executive Office del Presidente statunitense.
Il presidente USA nonché premio Nobel, Barack Obama, è un acceso sostenitore del trattato. In Europa le maggiori riserve vengono dalla Francia, al solito gelosa delle proprie prerogative nazionali, ma sembrano piuttosto tiepide. Martin Schulz, candidato della sinistra nominale alla presidenza della Commissione UE, pare favorevole. In Italia, il nostro presidente Giorgio I, l’indefettibile custode della nostra sovranità, durante una visita al dear friend nel gennaio del 2013 aveva dichiarato la necessità e l’urgenza di avviare i negoziati; Letta, quando ancora “stava sereno”, pregustando il suo semestre europeo aveva affermato a più riprese di voler arrivare alla firma del trattato entro la fine della presidenza italiana.
L’attuale primo ministro Renzi non mi risulta abbia ancora espresso alcuna opinione, ammesso che in proposito ne abbia.

Sul sito della Commissione Europea, alla pagina dedicata, si legge che il TTIP (mia l’enfasi):

… ha l’obiettivo di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti. Oltre a ridurre le tariffe in tutti i settori, l’Unione Europea e gli Stati Uniti vogliono affrontare il problema delle barriere doganali – come le differenze nei regolamenti tecnici, le norme e le procedure di omologazione. Spesso questi rappresentano un aggravio inutile in termini di tempo e denaro per le società che vogliono vendere i loro prodotti  su entrambi i mercati […]
I negoziati TTIP mireranno all’apertura di entrambi i  mercati  per i servizi, gli investimenti e gli appalti pubblici. Potranno anche contribuire a norme comuni sul commercio a livello globale.
Ricerche indipendenti mostrano che  il TTIP potrebbe far aumentare:
L’economia europea di  €120 miliardi;
L’economia americana di €90 miliardi;
L’economia del resto del mondo di €100 miliardi.

Fra i “ricercatori indipendenti” si annoverano il Center for Economic Policy Research di Londra e l’Aspen Institute.
Del primo leggiamo che “CEPR is proud to include on its list of growing members almost all the European Union central banks, the European Central Bank, and central banks in AsiaMiddle EastSouth and Central America and Africa“. Per quanto riguarda l’Aspen Institute trovate  qui l’elenco dei membri italiani.
Giusto per farsi un’idea.
Nonostante il primo posto nella scaletta degli obiettivi enunciati sulla pagina,  la riduzione delle tariffe doganali  non è il nocciolo della questione. Le tariffe sono già minime e non costituiscono alcun serio ostacolo all’interscambio commerciale fra le due aree. Ciò a cui si mira è l’abolizione delle “barriere non tariffarie”, cioè quei vincoli e norme di carattere tecnico, giuridico, commerciale e politico che in qualche modo tutelano a vario titolo i produttori, i lavoratori e i consumatori nazionali.  Detto con le parole della Commissione: gli aggravi  spesso inutili .

Il modello dell’accordo ricalca quello in corso d’adozione sulla sponda pacifica, il TPP (Trans-Pacific Partnership), definito da Kevin Zeese, un attivista politico americano, “un NAFTA agli steroidi”. TTIP e TTP insieme formerebbero un colosso economico avente per epicentro gli USA e in grado di stabilire le regole per il resto del mondo. Nelle parole di Alain Benoist: una sorta di NATO economica a governance americana, che toglierebbe alle altre nazioni il controllo dei loro scambi commerciali a favore delle multinazionali controllate dalle élites finanziarie.

Dean Baker osserva: “Le tutele per ambiente e consumatori sono più forti in Europa che negli USA. […] L’estrazione di gas e petrolio con la tecnica del fracking è molto più avanti negli USA che in Europa, ed è oggetto del TTIP proprio perché poco regolamentata. L’industria americana gode di speciali esenzioni di legge per quanto riguarda l’acqua potabile, per cui non è tenuta a rivelare quali prodotti chimici usa nel processo di fracking. Il risultato è che intere aree in prossimità delle zone di estrazione si ritrovano con le falde acquifere contaminate, ma è praticamente impossibile per le popolazioni dimostrare di chi sia la colpa. Sarà questo il tipo di cambiamento a cui assisteremo nei regolamenti europei con il TTIP”.

Ai negoziati non partecipa alcuna rappresentanza di cittadini o consumatori. In compenso  le multinazionali europee e americane vi sono rappresentate da oltre 600 lobbisti, accreditati come consulenti, che godono di accesso illimitato ai documenti preparatori e ai membri della commissione negoziale.

La strategia dei negoziatori è semplice: lavorare il più sommessamente possibile per non allarmare l’opinione pubblica, che conoscerà i dettagli dell’accordo solo una volta firmato. A questo punto non ci sarà altro da fare che adeguare le norme locali ai termini del trattato, ossia eliminare o ridimensionare tutto ciò che può essere un ostacolo al libero operare delle imprese private sui territori: sicurezza degli alimenti, soglie di tossicità, assicurazione sanitaria, il prezzo dei medicinali, la libertà in rete, la previdenza sociale, l’energia, la cultura, i brevetti… I paesi firmatari dovranno assicurare la messa in conformità delle loro leggi, dei loro regolamenti, delle loro procedure. Nel caso contravvenissero sarebbero oggetto di azione legale presso tribunali sovranazionali creati allo scopo, con potere di sanzione nei confronti degli stati, dove il collegio giudicante sarà composto da avvocati d’affari che in una causa successiva potrebbero assumere il ruolo di avvocato del querelante. (Conflitto di interessi? Quale “conflitto di interessi”?)

La citazione in giudizio degli Stati è già una realtà a livello di organizzazioni: il WTO – per esempio – ha già condannato gli USA per misure considerate lesive della libera concorrenza, e l’Unione Europea per il rifiuto di importare organismi geneticamente modificati.
Il salto di qualità è che con TTIP e TTP la facoltà di citare in giudizio gli Stati andrebbe direttamente agli operatori economici.
Negli USA si contano circa 15.000 filiali di imprese europee, e nella UE vi sono 50.000 filiali di imprese americane: un esercito di 65.000 soggetti che possono citare in giudizio gli Stati dove hanno investito. Un sistema potenzialmente devastante, tanto più se il diritto su cui giudicare è deliberatamente approssimativo.

Per esempio, attribuire all’investitore il diritto di operare entro un quadro normativo conforme alle sue previsioni vuol dire mettere lo Stato in condizione di non potere adottare, successivamente all’investimento, una diversa politica economica se questa cambia sfavorevolmente il quadro entro il quale l’investimento è stato deciso , pena la citazione in giudizio. L’investitore potrà così reclamare un indennizzo se nuove leggi diminuissero il valore dell’investimento, se cambiassero i minimi salariali, o se le norme anti-inquinamento diventassero più restrittive.
Le opportunità per le multinazionali diventano straordinarie.
La Biotechnology Industry Organization, di cui fa parte la celeberrima Monsanto, trova scandaloso che i prodotti OGM, liberamente venduti negli USA, siano vietati in Europa. La Digital Trade Coalition spinge affinché in rete vengano eliminate le barriere che limitano l’accesso al flusso di dati personali per l’utilizzo a fini pubblicitari o commerciali. La lobby dei produttori di carni d’allevamento fa pressioni perché sia rimosso il divieto di disinfezione delle carcasse di pollo con il cloro, o il divieto di integrare l’alimentazione di bovini e suini con medicinali beta-antagonisti in grado di aumentare il tenore di massa magra nella carne: questa misura a tutela della salute dei consumatori è considerata dalla lobby come distorsiva e lesiva della libera concorrenza.
La lobby dei finanzieri – dal canto suo – vuole abolire le poche regole messe in piedi all’indomani della più grave crisi economica dei tempi moderni, quella che loro stessi hanno provocato: nessun controllo sui volumi, la natura e l’origine dei prodotti finanziari immessi sul mercato.

Qui in Italia, se per esempio il Governo dovesse finalmente riconoscere l’esito del referendum sull’acqua del 2011 e regolarsi di conseguenza, potrebbe trovarsi in una situazione sanzionabile perché la mancata privatizzazione del servizio sarebbe causa di mancato profitto per le multinazionali del settore.

Insomma, i margini di manovra degli Stati su aree fondamentali – quali la sanità, l’energia, i trasporti, la previdenza, l’acqua, l’ambiente e quant’altro – diventerebbero irrilevanti. E due concetti inscindibili l’uno dall’altro, democrazia e sovranità, passerebbero definitivamente nell’elenco delle parole che questa atroce modernità ha reso obsolete.

Ma questi sono solo gli svantaggi della globalizzazione.
Quanto ai vantaggi, ci sono anche quelli; ma è inutile parlarne perché sono altri a goderne.

Per approfondire:

Attac – Il Granello di sabbia – numero monografico su TTIP
Le Monde Diplomatique /Lori Wallach – Le traité transatlantique
Costituzionalismo / Alessandra Algostino – TTIP Quando l’impero colpisce ancora
Social Europe Journal /Dean Baker: It’s not about trade!
Joseph Stieglitz: On the wrong side of globalization
Alain De Benoist: Come USA continueranno a fare a pezzi l’Europa

Articolo pubblicato anche su Appello al Popolo

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10 risposte a Mai dire MAI: a proposito dell’accordo sul libero scambio atlantico (TTIP)

  1. Gabriella Giudici ha detto:

    Grazie dell’aggiornamento. Avevo perso gli ignobili stati d’avanzamento dopo la traduzione di Voci dall’estero del report del Corporate Europe Observatory. http://vocidallestero.blogspot.it/2013/10/il-nuovo-ardito-accordo-transatlantico.html

    • Mauro Poggi ha detto:

      Grazie a te, Gabriella, quell’articolo lo avevo archiviato tra i “da leggere” ma col tempo lo avevo completamente dimenticato! Temo che stavolta l’accordo passerà, in giro vedo tanta rassegnazione e/o indifferenza.
      Ti auguro una felice Pasqua.

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