La democrazia dei treni in orario.

Torno a ripetermi.

È davvero sconcertante la pochezza di cui danno prova Mario Draghi e il suo governo dei migliori. Impressionante il suo silenzio in un momento in cui ci si attenderebbe un discorso al Paese, così come impressiona il silenzio di Sergio Mattarella – sempre così prodigo di banalità non fattuali quando si tratta di esaltare le magnifiche sorti e progressive dell’europaah.
Né l’uno né l’altro, che mi risulti, hanno ritenuto di illustrarci le ragioni della proroga a dicembre dello stato d’emergenza, ufficialmente per la crisi ucraina, benché siamo l’unico paese europeo ad aver adottato questa misura.
Né l’uno né l’altro hanno ritenuto di rivolgersi al paese per spiegare – al di là della solita piatta sottomissione agli imperativi statunitensi – la ragione per cui è stata assunta una posizione che compromette le già fragili prospettive della nostra economia, né le conseguenze a cui stiamo andando spensieratamente incontro: recessione, inflazione, disoccupazione (per fermarci alla migliore delle ipotesi ed escludendo ottimisticamente implicazioni ancora più tragiche).
Per un paese che già arranca di suo, e che ha concluso lo scorso anno con 5,6 milioni di cittadini al di sotto della soglia di povertà, non c’è male.

Deprimente la pochezza del Parlamento, sempre più dimentico della sua funzione legislatrice e sempre più dedito a funzioni notarili di avallo e registrazione dei decreti dell’esecutivo.

Scandaloso, infine, il ruolo dei media in tutto questo processo di degrado cognitivo, sia sul piano sociale e democratico, sia su quello politico: a parte le pochissime e circoscritte voci in dissenso, è tutto un peana al pensiero unico che ignora, anzi biasima, le sfumature della riflessione critica, ed esalta il conformismo degli opinionisti allineati. I quali – tanto supponenti quanto mediocri – vengono proposti in tutti i salottini televisivi a reiterare le stucchevoli narrazione ufficiali – a parità di crimine ora giustificatrici, ora incriminanti, a seconda di chi sia il soggetto che lo sta perpetrando: è così che si abitua l’opinione pubblica ad esercitare la confortevole arte della memoria selettiva, del crampo dicotomico, in cui ci si appassiona, ci si commuove, ci si indigna e si biasima – sempre a parità di crimine – selettivamente, discriminando fra i buoni a priori e i cattivi per antonomasia.

In un tale contesto di assenza di dibattito, mancanza di consapevolezza, manipolazione diffusa, subordinazione cognitiva, disciplinamento, ci si chiede allora a cosa serve tutto il costoso apparato mediatico e di governo, o le costose ritualità elettorali, se non a conservare l’illusione dell’esercizio di una democrazia e una pluralità nei fatti già inesistenti.

Tanto varrebbe un sistema dove a distribuire le opportune informazione provvedesse un’unica agenzia abilitata; e dove a governare – in autonomia e debitamente garantito contro le obsolete ritualità dell’urna, ma responsabile nei confronti di chi lo ha preposto – fosse un vicario ufficialmente nominato dal potere che lo etero-dirige, un podestà, un Quisling conclamato che si limitasse a realizzare pedissequamente le prescrizioni dei suoi preponenti, e per il resto badasse a far arrivare in orario i treni.

Sarebbe una soluzione più economica e la gente viaggerebbe soddisfatta.

Informazioni su Mauro Poggi

Fotodilettante Viaggiamatore
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