Luciano Gallino e il totalitarismo europeo.

Il sito dell’Associazione Paolo Sylos Labini pubblica un articolo di Luciano Gallino apparso su Republica il 23 settembre 2014, a proposito dell’involuzione autoritaria che in modo sempre più eclatante sta caratterizzando l’Unione europea.
L’analisi è sorprendentemente franca, e con piacere vi riscontro un maggior coraggio di denuncia rispetto a più reticenti suoi saggi che mi era capitato di leggere in passato. Alla buonora! Se la situazione è arrivata a questo punto è anche perché è stata per troppo tempo ignorata o minimizzata da molti intellettuali di chiara fama, da cui mi sarei atteso una più attenta sensibilità sull’argomento e maggiore senso di responsabilità verso l’opinione pubblica per quel più di  prestigio e visibilità mediatica di cui godono.
Mi riferisco allo stesso Gallino, ma anche a personaggi come Zagrebelsky o Rodotà, pronti (lodevolmente) a spendersi per denunciare lo svuotamento sostanziale della nostra Carta da parte dei governi, passati e attuale, ma (colpevolmente) silenziosi sullo svuotamento dei nostri fondamentali principi costituzionali operato dai trattati e dalle politiche europee. Gli stessi che beatamente ignorano oggi l’incombere di un accordo di libero scambio, il  TTIP,  che si sta concludendo sopra le nostre teste e la nostra Costituzione, con buona definitiva pace, in particolare, dell’Art. 11.

Tornando all’articolo di Luciano Gallino, penso che la novità non stia tanto in ciò che dice (scontato per chi ha avvertito la deriva antidemocratica già da anni, senza mai avere una spazio mediatico per denunciarla salvo la rete), quanto nel dirlo, finalmente, in termini così netti. Concordo su tutto salvo un paio di cose:

1) Dove definisce i supertecnici della Troika “dilettanti allo sbaraglio“. In realtà si tratta di burocrati preparatissimi, che stanno adempiendo con squisita professionalità al loro mandato: abbattere con tutti i mezzi Stato sociale e Diritto del lavoro, ridistribuire la ricchezza verso l’alto, privilegiare le ragioni del mercato e della finanza a scapito della collettività, secondo uno schema neoliberista ormai entrato a far parte del modello culturale corrente. Sostenere che sono impreparati perché ricorrono a misure che dal nostro punto di vista sono devastanti, è attribuire loro una buona fede del tutto assente. È un’ingenuità, un po’ come dire a qualcuno che sta sbagliando strada pensando che condivida la nostra stessa meta, quando in realtà vuole andare in tutt’altra direzione.

2) Nella conclusione: “Quali sciagure debbono ancora accadere, quali insulti l’ideale democratico deve ancora subire, prima che si alzi qualche voce — meglio se sono tante — per dire che di questa Ue dittatoriale ne abbiamo abbastanza, e che se uscirne oggi può costare troppo, caro è necessario rivedere i trattati, prima di assicurarci decenni di recessione e di servitù politica ed economica?“.
Qui Gallino ricade nel vecchio schema mentale per cui la certezza del disastro in cui stiamo affogando  è preferibile all’ipotetico disastro che dovremo affrontare tirandocene fuori. Un po’ è la sindrome della rana bollita, ma ho anche il sospetto che chi sostiene questo punto di vista abbia ancora qualcosa da perdere – poco o tanto che sia –  e nel suo intimo speri che quel suo poco o tanto la scamperà. Sfortunatamente, sono sempre più numerosi coloro ai quali non è rimasto da perdere nulla.
Sono anni che mi sento dire che è troppo costoso uscire dal sistema e che la strada maestra è riformarlo.
Nel frattempo sono anni che l’Eurosistema persegue la sua cinica politica di stragismo economico e sociale, e sono anni che invece di riformarsi si consolida nel suo autoritarismo, implacabile come una metastasi. Sono anni che ogni volta liquida in un solo boccone il riformista di turno: pensiamo a Hollande, che fu eletto per rivoltare l’Europa come un calzino; o al Partito socialdemocratico tedesco, che doveva far saltare la Merkel e ora governa insieme a lei; ricordiamoci delle velleità di Tsipras, con il suo riformismo euroconformista,  e di quanto dovevano essere decisive le elezioni del nuovo Parlamento europeo per la democrazia dell’Unione; ricordiamo le sparate di Renzi che avrebbe cambiato direzione di marcia dell’Europa, tra l’altro anche grazie al concomitante, decisivo semestre di presidenza italiana (che sta trascorrendo serenamente, anòdino quanto quello greco che lo ha preceduto…).
Se all’epoca i nostri padri avessero ragionato allo stesso modo, saremmo ancora sotto il fascismo.
L’aspetto tragicamente grottesco è che ci stiamo ritornando: un fascismo surrettizio, in guanti bianchi, asetticamente tecnocratico; ma pur sempre tale.

 L'Onda

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Luciano Gallino: Se la UE diventa una dittatura.

«Quel che sta accadendo è una rivoluzione silenziosa — una rivoluzione silenziosa in termini di un più forte governo dell’economia realizzato a piccoli passi. Gli Stati membri hanno accettato — e spero lo abbiano capito nel modo giusto — di attribuire importanti poteri alle istituzioni europee riguardo alla sorveglianza, e un controllo molto più stretto delle finanze pubbliche». Così si esprimeva il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, in un discorso all’Istituto Europeo di Firenze nel giugno 2010.

Non parlava a caso. Sin dal 2010 la Ce e il Consiglio Europeo hanno avviato un piano di trasferimento di poteri dagli Stati membri alle principali istituzioni Ue, che per la sua ampiezza e grado di dettaglio rappresenta una espropriazione inaudita — non prevista nemmeno dai trattati Ue — della sovranità degli Stati stessi. Non si tratta solo di generiche questioni economiche. Il piano del 2010 stabilisce indicatori da cui dipende l’intervento della Ce sulla politica economica degli Stati membri; indicatori elaborati secondo criteri sottratti a ogni discussione da funzionari della CE. Se gli indicatori segnalano che una variabile esce dai limiti imposti dal piano, le sanzioni sono automatiche. Il piano è stato seguito sino ad oggi da nuovi interventi riguardanti la strettissima sorveglianza del bilancio pubblico, al punto che il ministero delle Finanze degli Stati membri potrebbe essere eliminato: del bilancio se ne occupa la Ce. Il culmine della capacità di sequestro della sovranità economica e politica dei nostri Paesi da parte della Ue è stato toccato nel 2012 con l’imposizione del trattato detto fiscal compact , che prevede l’inserimento nella legislazione del pareggio di bilancio, «preferibilmente in via costituzionale». I nostri parlamentari, non si sa se più incompetenti o più allineati sulle posizioni di Bruxelles, hanno scelto la strada del maggior danno — la modifica dell’art. 81 della Costituzione.

Questi sequestri di potere a carico dei singoli Stati non sono motivati, come sostengono le istituzioni europee, dalla necessità di combattere la crisi finanziaria. I supertecnici della Ce (sono più di 25mila), ma anche del Fmi e della Bce, mostrano di essere dilettanti allo sbaraglio. L’aumento del debito pubblico degli Stati dell’eurozona, salito dal 66% del 2007 all’86% del 2011, viene imputato dalle istituzioni europee a quello che essi definiscono il peso eccessivo della spesa sociale nonché al costo eccessivo del lavoro. Oltre a documenti, decreti, direttive, ad ogni occasione essi fanno raccomandazioni affinché sia tagliata detta spesa. Pochi giorni fa Christine Lagarde, direttrice del Fmi, insisteva sulla necessità di tagliare le pensioni italiane, visto che rappresentano la maggior spesa dello Stato. Dando mostra di ignorare, la dotta direttrice, che i 200 miliardi della ordinaria spesa pensionistica sono soldi che passano direttamente dai lavoratori in attività ai lavoratori in quiescenza. Il trasferimento all’Inps da parte dello Stato di circa 90 miliardi l’anno non ha niente a che fare con la spesa pensionistica, bensì con interventi assistenziali che in altri Paesi sono a carico della fiscalità generale.

Dinanzi ai diktat di Bruxelles, il governo italiano in genere batte i tacchi e obbedisce, a parte qualche alzar di voce di Renzi. Le prescrizioni contenute nella lettera del 2011 con cui Olli Rhen, allora commissario all’economia della Ce, esigeva riforme dello Stato sociale sono state eseguite. La “riforma” del lavoro di cui si discute in questi giorni potrebbe essere stata scritta a Bruxelles. Nessuno di questi interventi ha avuto o avrà effetti positivi per combattere la crisi; in realtà l’hanno aggravata. Combattere la crisi non è nemmeno il loro scopo. Lo scopo perseguito dalle istituzioni Ue è quello di assoggettare gli Stati membri alla “disciplina” dei mercati. Oltre che, più in dettaglio, convogliare verso banche e compagnie di assicurazione il flusso dei versamenti pensionistici; privatizzare il più possibile la Sanità; ridurre i lavoratori a servi obbedienti dinanzi alla prospettiva di perdere il posto, o di non averlo. Il vero nemico delle istituzioni Ue è lo stato sociale e l’idea di democrazia su cui si regge; è questo che esse sono volte a distruggere.

Si può quindi affermare che la Ue sarebbe ormai diventata una dittatura di finanza e grandi imprese, grazie anche all’aiuto di governi collusi o incompetenti? Certo, il termine ha lo svantaggio di essere già stato usato dalle destre tedesche, le quali temono — nientemeno — che la Ue faccia pagare alla Germania le spese pazze fatte dagli altri Paesi. Peraltro abbondano i termini attorno all’idea di dittatura: si parla di “fine della democrazia” nella Ue; di “democrazia autoritaria” o “dittatoriale” o di “rivoluzione neoliberale” condotta per attribuire alle classi dominanti il massimo potere economico.

Il termine potrà apparire troppo forte, ma si dia un’occhiata ai fatti. I poteri degli Stati membri di cui le istituzioni europee si sono appropriati sono superiori, per dire, a quelli dei quali gode in Usa il governo federale nei confronti degli Stati federati.

Le persone che decidono quali poteri lasciarci o toglierci, sono sì e no alcune dozzine: sei o sette commissari della Ce su trentai componenti del Consiglio Europeo (due dozzine di capi di Stato e di governo); i membri del direttivo della Bce; i capi del Fmi, e pochi altri. Tutti, intendiamoci, immersi in trattative con esponenti del mondo politico, finanziario e industriale, in merito alle quali disposizioni della direzione Ce impongono che i cittadini europei non ne sappiano nulla sino a che non si è presa una decisione [vedi TTIP]. Non esiste alcun organo elettivo — nemmeno il Parlamento Europeo — che possa interferire con quanto tale gruppo decide.

Pare evidente che la Ue abbia smesso di essere una democrazia, per assomigliare sempre più a una dittatura di fatto, la cui attuazione — come vari giuristi hanno messo in luce — viola perfino i dispositivi già scarsamente democratici dei trattati istitutivi. La dittatura Ue potrebbe essere tollerabile se avesse conseguito successi economici. Italiani e tedeschi hanno applaudito i loro dittatori per anni perché procuravano lavoro e prestazioni da stato sociale. Ma le politiche economiche imposte dal 2010 in poi hanno provocato solo disastri.
Quali sciagure debbono ancora accadere, quali insulti l’ideale democratico deve ancora subire, prima che si alzi qualche voce — meglio se sono tante — per dire che di questa Ue dittatoriale ne abbiamo abbastanza, e che se uscirne oggi può costare troppo caro è necessario rivedere i trattati, prima di assicurarci decenni di recessione e di servitù politica ed economica?

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Informazioni su Mauro Poggi

Fotodilettante Viaggiamatore
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7 risposte a Luciano Gallino e il totalitarismo europeo.

  1. gabriella ha detto:

    Non so se la sindrome da rana bollita coincide con l’interiorizzazione dell’inevitabilità (TINA) di chi vota o invita a votare per il pd. Forse semplificato eccessivamente, ma un istante dopo averlo visto fare, smetto di pormi qualunque domanda, anche davanti curricoli eccellenti.

  2. Sendivogius ha detto:

    Credo di appartenere a pieno titolo alla categoria di coloro che di questa “Ue dittatoriale ne abbiamo abbastanza, e che se uscirne oggi può costare troppo caro, è necessario rivedere i trattati, prima di assicurarci decenni di recessione e di servitù politica ed economica”…

    Tuttavia, con la lettura di un altro tuo paio di pubblicazioni di questa potenza argomentativa e lucidità critica, finirò con l’abbracciare la tua tesi al 200% (che per inciso trovo già condivisibile nella massima parte del suo impianto logico e dialettico).

    • Mauro Poggi ha detto:

      Caro Sendivogius, vedrò di fare il possibile; il tuo contributo sarebbe benvenutissimo 🙂
      Oggi ho appena letto un articolo di Stefano Fassina su Huffington Post. Passerà sotto silenzio, eppure è importante soprattutto perché scritto da uno che solo un anno fa aveva detto “il PD ha investito un capitale politico troppo grande nell’euro perché possa permettersi che fallisca”.
      Nella conclusione dell’articolo, per la prima volta parla di “insostenibilità dell’Euro”, e pone l’alternativa non più fra uscire o non uscire, ma fra uscire in maniera coordinata e cooperativa o uscire in maniera caotica a seguito di implosione. Oltretutto, constatando amaramente che questa seconda ipotesi è la più probabile, stante la criminale caparbietà degli eurocrati al comando. Spero solo che non si limiti a fare la cassandra di turno, tanto per rifarsi una verginità, ma che si riscatti con azioni politiche coerenti.
      http://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/questo-def-e-una-nota-di-rassegnazione_b_5934640.html?utm_hp_ref=italy

      • Sendivogius ha detto:

        Stefano Fassina continua ad essere per me un mistero (buffo): la personificazione vivente di un disturbo di personalità.
        Ogni volta che lancia le sue analisi macroeconomiche, non sai mai se a parlare sia lui o il suo “doppelgänger”, nella dicotomia insanabile tra ‘Stefano’ e ‘Fassina’, insieme al paradossale scollamento tra Teoria e Pratica.
        E’ lo stesso che da viceministro all’Economia del Governo Monti (un tecnoburocrate eurocratico eletto da nessuno) approva l’inserimento del “fiscal compact” (la negazione di tutte le teorie economiche dell’ex “giovane turco”) in Costituzione, salvo poi promuovere un referendum per la sua abolizione.
        Lo strano caso del dottor Fassina (con le sue sottigliezze alchemiche degne di un Ben Jonson) meriterebbe più che altro di essere immortalato nelle cronache letterarie di un nuovo Stevenson.

        • Mauro Poggi ha detto:

          Hai ragione, anzi per me è un mistero tragico.
          Fassina le cose le sa (probabilmente è l’unico dirigente del PD a capire le implicazioni dell’euro-sistema; gli altri, da Civati a Cuperlo a Barca, ragionano per riflesso condizionato), e lo ha dimostrato in tante sue esternazioni quando la sincerità ha prevalso sulla ragione politica. Probabilmente la sua affermazione per cui “il PD ha investito un capitale politico troppo grande nell’euro perché possa permettersi che fallisca” spiega gran parte della sua dissociazione cognitiva: la ditta innanzitutto. Ma proprio perché le cose le sa, capisce che gli spazi per il salvare il salvabile non esistono più. Che la sua resipiscenza dipenda dalla voglia di rifarsi una verginità o da altro poco importa, l’importante è che si consolidi una buona volta e che dia coerenza alla sua battaglia politica.
          Siamo nel pieno di una guerra impari che si combatte attraverso la propaganda da una parte e l’informazione dall’altra, e i nostri avversari possiedono armi di distruzione (cerebrale) di massa. La RAI non smette di mandare melensi spot a favore dell’Unione europea, e ora si è anche messa a sponsorizzare il Trattato Transatlantico di libero scambio TTIP, con il risultato che il 99% degli italiani conoscerà e giudicherà un accordo di questa portata (che Stiglitz ha esplicitamente condannato nella sua recente lectio magistralis alla sala dei parlamentari) sulla base di uno spot propagandistico.
          In una situazione così asimmetrica abbiamo bisogno di persone che dispongano visibilità mediatica, altrimenti non ne usciamo. Fassina ce l’ha, e se ha davvero deciso di abbandonare le sue reticenze per me va benissimo. Speriamo che abbia deciso davvero.

  3. Sendivogius ha detto:

    Più che altro, le “reticenze” fassiniane sembrano riflessi pavloviani di fedeltà incondizionata alla ‘Ditta’… E peccato che la ditta in questione abbia cambiato, nome, simbolismo, dirigenza aziendale e ‘mission’ sociale, spacciando ormai prodotti avariati, ripresi dalla peggior concorrenza.
    Le migliori analisi, così come le più promettenti intenzioni, decadono se alla fine a prevalere è sempre il principio di appartenenza organica allo struttura-partito (per l’esattezza “il Partito”), oltre la quale Fassina non riesce a concepire né proiettare se stesso.
    Il problema maggiore, prima ancora di dare coerenza alla propria battaglia politica, è se Fassina sia minimamente in grado di sostenere il livello di scontro. Per quel che ho visto finora, il dubbio mi ha più che sfiorato…

    Il TTIP è invece l’ultima ciliegina su una torta già abbondantemente irrancidita. Qui il silenzio della nostra psuedo-informazione di intrattenimento è massima. Basti pensare al sopravvalutatissimo ‘Report’ della Gabanelli che spende un’intera trasmissione per parlare della… pizza!
    Credo che persino boiate demenziali come le “scie chimiche” ricevano più interesse ed approfondimenti del TTIP… Forse tocca sollecitare Adam Kadmon, l’uomo con la museruola, ad occuparsi del tema per richiamare un minino di attenzione!

    • Mauro Poggi ha detto:

      Condivido. Se dovessi scommettere sulla capacità di Fassina a sostenere il livello di scontro, scommetterei di no. Ma da quelle parti questo è ciò che passa il convento…

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