Trickle-up, ovvero: la ricchezza non gocciola.

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La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti.
Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo.
Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della Globalizzazione: fin dagli anni settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; FMI e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.

 Il termine trickle-down può essere tradotto con la parola “gocciolamento”. Un’espressione che evoca processi naturali, e che serve a dare alla dottrina un carattere di spontaneità irrefutabile.

I neoliberisti sono bravi, in queste narrazioni: l’arbitrio che viene tradotto come libertà  di decisione; la subordinazione del bene individuale a quello comune descritta come una prevaricazione indebita dello Stato; la tutela dei più deboli vista come incoraggiamento alle tendenze parassitarie; i meccanismi di previdenza accusati di essere de-responsabilizzanti.
(Esempi recenti li troviamo nella retorica della compagine governativa, in particolare quella del nostro caro leader, il facondo Renzi. L’ultimo che mi ha colpito è stata quando a proposito dell’idea di mettere il TFR in busta paga ha affermato, più o meno, che doveva finire l’epoca dello “Stato-mamma”).

In rete mi sono imbattuto giorni fa in una vignetta che illustra molto bene il concetto di Trickle-down, come ce lo raccontano e come funziona veramente:

Trickle down

Molto carina, vero?,  ma restava una metafora senza supporto scientifico.

Manco a farlo apposta, stamattina leggo sul Washington post un articolo di Christopher Ingram a commento di grafico costruito da Pavlina Tcherneva sulla base di dati ricavati dal recente lavoro di Piketty.

Il titolo dell’articolo è significativo: “Il deprimente grafico che segue dimostra che i ricchi non si stanno impossessando della fetta di torta più grande: si stanno prendendo tutta la torta“.
Il grafico lo trovate qui sotto: rappresenta la distribuzione dell’incremento dei redditi dal secondo dopoguerra a oggi, fra il 10% più ricco della popolazione (in rosso) e il restante 90% (in blu), e dimostra che una quota sempre maggiore di ricchezza prodotta finisce nelle tasche dei più facoltosi.
Notare l’inesorabile declino della quota blu a beneficio di quella rossa, culminato con il crollo degli anni ’80 grazie agli effetti della reaganomics e della pretestuosa  trickle-down theory.
Notare anche come la quota blu non solo è andata diminuendo, ma negli ultimi anni è diventata in termini reali addirittura negativa.
Il grafico non dice nulla che non sapessimo o sospettassimo già, ma lo dice in maniera molto eloquente. E anche se si tratta di dati riferiti alla realtà statunitense, è lecito supporre che un analogo studio in Europa produrrebbe risultati pressoché identici.

O no?

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Distribuzione ricchezza media

Informazioni su Mauro Poggi

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2 risposte a Trickle-up, ovvero: la ricchezza non gocciola.

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