Grosse Koalition und kleine Politik – l’accordo CDU/SPD

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 A quanti speravano in un ravvedimento virtuoso della politica comunitaria tedesca, prima confidando nelle elezioni di settembre e ora nella coalizione CDU/SPD, raccomando  l’articolo di Sebastian Dullien – professore di economia alla HTW di Berlino. Le 185 pagine del documento che sanciscono l’accordo fra i due partiti, osserva l’autore,  non aiutano molto l’analisi macroeconomica, e alcune pagine sembrano addirittura scritte apposta per dissimulare le reali conseguenze delle proposte. 

Le quali conseguenze, tuttavia,  non appaiono confortanti. Con buona pace di chi si ostina a proclamare – con velleitaria insipienza – la riformabilità interna della costruzione eurocratica grazie a una Germania ricondotta finalmente a più ragionevoli consigli, condizione propedeutica per quel “più Europa” visto come soluzione mistica della crisi economico-democratica che quella stessa costruzione ha generato.

Grosse koalition

Ecco una sintesi dell’ articolo, che è stato pubblicato su Social Europe. (I corsivi fra parentesi quadre sono commenti miei).

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Dal punto di vista squisitamente europeo, Dullien elenca cinque punti di criticità:

1) Debole crescita della domanda interna tedesca, in gran parte affidata ai consumi e solo marginalmente agli investimenti
2) Irrisolto problema strutturale della carenza di investimenti nelle pubbliche infrastrutture e nell’educazione
3) Contributo solo marginale al riequilibrio della bilancia commerciale con l’Eurozona
4) Ulteriori ostacoli alla realizzazione di una significativa Unione bancaria
5) Nessun contributo alla crescita e alla soluzione della crisi debitoria dei paesi periferici [i Piigs, per i quali sarà necessario trovare un altro divertente acronimo, dovendo aggiungere a breve la “F” di Francia – ndr]

Per quanto riguarda gli investimenti (infrastrutture, ricerca e sviluppo, educazione) ad essi  viene allocato un incremento di spesa di 23 mld in quattro anni, pari allo 0,25% annuo del PIL. L’incremento è troppo debole in assoluto, e in percentuale non è sufficiente a migliorare la quota degli investimenti in rapporto al totale della spesa.
Dal lato consumi, sono contemplati aumenti pensionistici per alcune categorie sociali e l’introduzione di un salario minimo pari a 8,50 euro/ora.
Tenuto conto dell’area di popolazione presumibilmente interessata, dell’incidenza sui prezzi, delle quote di risparmio e delle maggiori tasse e contributi, è presumibile che delle somme stanziate (circa 18 mld l’anno) solo la metà andrà al consumo.
L’analisi fa quindi ritenere che l’incremento annuo della domanda interna sarà intorno allo 0,1% del PIL. L’auspicio dei paesi periferici per provvedimenti di autentico stimolo, tali da indurre maggiori importazioni e minore competitività per il riequilibrio della bilancia commerciale, è quindi destinato a essere disatteso data l’esiguità delle risorse allocate. L’impatto sulla bilancia commerciale tedesca, circa uno 0,5% del PIL, forse potrà aiutare a contenerne l’avanzo  entro quel 6% richiesto dai trattati, ma non sarà certo sufficiente a ridimensionarlo entro limiti meno pericolosi per l’equilibrio dell’Eurozona.

Sulla questione dell’unione bancaria, il documento ribadisce due posizioni che ne limitano l’agibilità. Primo, insiste sul fatto che le banche locali e regionali devono restare escluse dalla supervisione BCE; secondo, sostiene che il MES (Meccanismo Europeo di stabilità) potrà intervenire nel salvataggio delle banche in difficoltà (bail out) solo subordinatamente all’intervento degli azionisti, degli obbligazionisti e dei correntisti (questi per la parte eccedente la quota di deposito non garantita), nonché a quello dello stato  (nei limiti in cui ciò non comprometta la sostenibilità del debito pubblico).
[ In pratica, i principi del bail-in già felicemente applicati nella crisi cipriota ].
E’ inoltre esclusa qualunque ipotesi di assicurazione comune europea.

Stante questi principi, la funzionalità dell’unione bancaria verrebbe enormemente ridimensionata. Intanto, è chiaro che la natura locale o regionale di una banca non garantisce di per sé l’assenza di rischio sistemico – le Cajas de Ahorro spagnole sono un buon esempio del contrario. In secondo luogo, l’intervento di sola seconda istanza del MES  [i cui fondi – ricordiamolo – non derivano da emissioni della BCE ma da pesanti contributi degli stati eurozona] vanifica l’obiettivo di eliminare il circolo vizioso  che ha legato in questi anni le crisi bancarie e il debito sovrano.

Significativamente, il documento tace infine su qualunque ipotesi di risoluzione della crisi europea: nessuna indicazione per la crescita dei paesi periferici, nessun ripensamento per un’attenuazione delle misure di austerità loro imposte. Le attuali regole di deficit e debito pubblico sono al contrario riaffermate. La ristrutturazione dei debiti non è nemmeno presa in considerazione, e viene categoricamente esclusa qualunque ipotesi di mutualizzazione del debito (eurobonds).

In pratica, le critiche socialdemocratiche alle politiche della Merkel, così frequenti durante gli anni dell’opposizione, cessano di avere una ragione non appena la SPD si ritrova  a condividere il potere.
[Un fenomeno che sorprende solo chi, fidando nei valori formalmente dichiarati dalle sinistre istituzionali, si aspetta dai socialdemocratici tedeschi oggi, come ieri dai socialisti di Hollande, un ribaltamento in senso solidale e progressista delle politiche europee con il grazioso assenso della Germania. Il cui inno nazionale non a caso inizia con “Deutschland, Deutschland über alles/ über alles in der Welt”, che per un diversamente tedesco suona un sempre un tantino preoccupante nonostante le magnifiche note di Haydin che lo accompagnano].

Il documento di intesa, nelle conclusioni di Dullien è inadeguato sotto tutti gli aspetti che riguardano l’Eurozona: riequilibrio delle partite correnti, ripresa economica del continente, unione bancaria. Il messaggio che emerge è inequivocabile: la crisi economica non è una priorità tedesca; i problemi dei paesi periferici non sono problemi della Germania; la Germania non muoverà un dito finché non sarà assolutamente necessario.

[Vale a dire, finché non sarà assolutamente necessario per gli interessi tedeschi. Deutschland, Deutschland über alles, appunto.]

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Informazioni su Mauro Poggi

Fotodilettante Viaggiamatore
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2 risposte a Grosse Koalition und kleine Politik – l’accordo CDU/SPD

  1. stefano fait ha detto:

    Io sono un portatore sano della summenzionata “velleitaria insipienza”, ma l’articolo mi piace lo stesso ;op
    E ribadisco che nessuna nazione e nessun individuo è sovrano in un mondo governato da oligarchie sociopatiche o comunque sociopatizzate. Il “più Europa” io lo intendo in modo radicalmente diverso rispetto agli eurarchi. Per me vuol dire: “l’unione fa la forza” ed è un’unione dal basso che si apre al mondo intero, perché se sta male il Terzo Mondo stiamo male tutti noi (es. immigrazione di massa, guerre, criminalità organizzata transnazionale, ecc.). Per questo voterò Tsipras.

    • Mauro Poggi ha detto:

      🙂 Veramente la definizione è riferita ad altra categoria di persone, che giudico portatrici insane e dolose della velleitaria insipienza. So bene di quale genere è il tuo “più Europa”; che condivido, ma che – temo fortemente – l’attuale sistema sta seppellendo sempre più profondamente.

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