La brava Lucia dal Grosso, nel suo blog, fa una corretta riflessione sui meccanismi mentali adottati dai partigiani del SI. Non si entra nel merito visto che il merito non esiste, ma ci si gira attorno con speciose argomentazioni sulla necessità di superare l’immobilismo riformatore, facendo largo uso di affermazioni apodittiche o previsioni apocalittiche a seconda della vena retorica di chi si pronuncia.
A prescindere, direbbe Totò.
Poco importa se si tratta, più che di riforme, di contro-riforme; poco importa se il disegno generale che le sottende è di conclamato stampo reazionario; o se a pretenderle è il Podestà forestiero a cui ci siamo consegnati, mani e piedi legati, quando entrammo nell’Eurozona.
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Lucia del Grosso: La costituzione e la lobby degli psicoanalisti.
[…] Tra tutti i sostenitori del SI’, singoli o in elenco in coda agli appelli, ce ne fosse uno che dice: “Approvatela, hanno fatto un bel lavoro”.
Cacciari dice che è una porcata, Benigni che è pasticciata, quelli de “Le ragioni del SI’” (tra cui Bassanini) che non è una meraviglia, ma che volete, non è stata fatta da costituzionalisti, ma da semplici parlamentari […] MA bisogna confermarla con un SI’. Perché? Eh, perché se no l’Italia è irriformabile. […]
E’ il nuovo storytelling di Renzi: “In Italia le cose o si fanno a cazzo di cane o se no non si possono fare”.
Glielo hanno suggerito i lobbysti psicanalisti per abbassare l’autostima degli Italiani e far aumentare il proprio fatturato. Poi i gufi sarebbero gli altri. Ma è la parabola alla quale sono destinate le narrazioni sostenute dal niente: l’esordio è un fuoco pirotecnico di ottimismo ed entusiasmo, poi man mano che il fumo si dirada e svela il vuoto di progetto subentra l’invito alla rassegnazione. Anzi, non l’invito, l’obbligo: chi non si rassegna a quello che passa il convento è contro il Paese, come ha spiegato bene Franceschini.
E non è solo la retorica renziana a promuovere le vendite di Prozac, c’è anche la riluttante minoranza dem che con allegria novembrina fa propaganda per la nuova Costituzione: è illeggibile, anzi inguardabile, ma respingerla aprirebbe scenari apocalittici, preparate i bunker.
Cose che capitano, quando la sinistra rinuncia al suo progetto di trasformazione del mondo e al mito che lo racconta e si consegna ad una narrazione che parte trionfante e poi avvizzisce, come tutti i riformismi senza popolo, peggio ancora quando i riformatori non sanno riformare. Cose che capitano, quando la sinistra equivoca su quello che è il vero interesse nazionale. Che non è quello di salvare un partito [ cfr “la ditta” bersaniana] marcescente, nell’illusione che sia l’unico argine in grado di arrestare la barbarie.
Il vero interesse nazionale è ridare una speranza a questo Paese, talmente depresso da non poter nemmeno pensare di avere una Costituzione decente, parola dei costituenti.
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Dalla parte del NO, al contrario, vengono espresse analisi puntuali e motivate su limiti, contraddizioni e controindicazioni: la scarsa democraticità del sistema qual è prefigurato dalla riforma – specie se combinata con il nuovo sistema elettorale; la farraginosità dei nuovi meccanismi legislativi che dovrebbero risolvere le lungaggini di quelli precedenti; la sostituzione di un Senato di eletti con un Senato di nominati, a cui rimangono tuttavia competenze fondamentali; la risibilità dei “risparmi della politica” che si pretendono conseguire; l’illegittimità di una riforma disegnata dall’esecutivo (in dispregio al principio dell’estraneità del governo alle revisioni costituzionali), e approvata da un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale dove, tra l’altro, la maggioranza relativa è stata conquistata da un partito presentatosi alle urne con un programma elettorale che non contemplava alcuna (contro)riforma della Costituzione.
In una società ideale, o anche solo normale (cioè di cittadini consapevoli e informati che si prendessero il tempo e la fatica di esaminare le opposte ragioni, così da distinguere fra argomenti e speciosità, tra fondatezza e fallacia) il referendum di ottobre avrebbe nella vittoria dei NO l’esito scontato.
Ma nella nostra società, che non è né ideale né normale, prevale la massa degli individui educati al conforto della sudditanza, restia alle incomodità del pensiero complesso e dell’analisi critica. Il pessimismo della ragione suggerisce dunque che a imporsi saranno le scorciatoie cognitive degli slogan, l’alettante piacevolezza del pensiero semplificato che i media di sistema propineranno spacciandolo per pragmatico buon senso.
Non resta allora che affidarci all’ottimismo della volontà.
Link utili:
Nell’atteggiamento ai limiti della schizofrenia che contraddistingue molti dei sedicenti “riformatori” scettici (“non mi piace ma la voto”…”meglio di niente”…”il testo è perfettibile”…etc), oltre ad un evidente meccanismo dissociativo, c’è qualcosa di ‘perverso’ (sit venia verbo)…
Io credo che tra i compagnucci della parrocchietta scatti una sorta di riflesso pavloviano che non ammette deroghe all’adesione organica al ‘partito’. Il revisionismo critico è solamente folklore scenico, come da tradizione secondo un copione collaudato che connatura il vero ‘sinistrato’ disperso nei suoi eterni ed inconcludenti “dibattiti”. Poi, come ama ripetere il buon Bersani che della pantomima è campione, la quadra si trova sempre, nel compromesso al massimo ribasso; perché (per l’appunto!) l’interesse prevalente, scambiato per ‘nazionale’, è quello di “salvare un partito marcescente nell’illusione che sia l’unico argine in grado di arrestare la barbarie”.
Per assurdo (ma non troppo), metaforicamente parlando, è lo stesso motivo per cui un vetero-stalinista ottuagenario, trincerato nell’ultima Casa del Popolo sperduta in qualche paesotto dell’Appennino tosco-emiliano, continua a votare convintamente per il PD, scambiandolo per il PCI quale erede in linea di continuità, e si rifiuta di ammettere che si tratta invece dell’emulo più riuscito della peggiore DC dorotea, per giunta con l’apporto fondamentale di fascisti dichiarati.
Il problema è tutto lì: esiste una specie di inscindibile legame, ai limiti del patologico, con un partito (Il Partito!) che nei fatti non esiste più, se non nella concezione totalitaria inerente l’occupazione del potere, e che nei nostri sedicenti ‘democratici’ risente di una impostazione fortemente leninista dello stesso, che ne condiziona gli schemi mentali nell’approccio alla politica (che ovviamente è tutt’uno con il partito, non essendo concepibile senza la sua forma-struttura).
Ne consegue l’assoluta incapacità di concepire altra vita politica fuori da “il partito”; che poi è il motivo per cui il famigerato jobs-act è stato fatto passare indenne, nella sostanziale immobilità di un sindacato la cui unica preoccupazione era di non recidere il cordone ombelicale col “partito amico”, quale unico e solo referente del quale tenere conto (altro che i lavoratori!).
Il risultato è una costante dissociazione cognitiva, con la profusione di scenari apocalittici qualora il baricentro della centralità della politica si trovi a discostare oltre gli equilibri interni dell’esangue partitone del fu centrosinistra italiano. Con l’assurdo che ciò che per vent’anni fu il programma berlusconiano, oggi è diventato il fulcro dell’agenda renziana, con buonissima pace della “emergenza democratica” che allora facevano fremere di vibrante sdegno e corrucciata apprensione i corifei delle medesime riforme riproposte sotto altra bandiera, con tutta la salivante intellighentjia salottiera che nel frattempo pare aver esaurito gli appelli contro la “deriva autoritaria”. Perché il problema a quanto pare era il colore politico dei promotori di quel condensato reazionario-plebiscitario che chiamano “riforme”, mica la sostanza delle stesse.
Ora sono tutti conquistati dall’infallibilità dell’ultimo salvator patriae della serie, in un clima (farsesco) da caduta dell’impero romano (“bisogna fare presto!”), mentre inseguono il mito (d’annunziano) della giovinezza al potere e quello (futurista) della velocità e della “rottamazione”. Tutta robetta simpatica che fece la fortuna del fascismo, con la sostanziale differenza che all’epoca si trattava di reduci che avevano visto la morte in faccia nelle trincee ed idealisti romantici che s’erano fatti le ossa a Fiume, mentre questi attuali sono solo bolsi portaborse che frequentano le sagrestie democristiane dall’età di 12 anni, mentre avanzano sul cavallino a dondolo travestiti da Napoleone senza altra specializzazione che non sia l’argumentum ad populum.
Come ebbe a scrivere un anarchico ‘refrattario’ poco prima di finire malissimo:
“La storia politica d’Italia è storia piena di tribuni facondi…. Il dialogo con la folla non l’ha inventato Mussolini e nemmeno Giulietti, e nemmeno D’Annunzio. È roba da foro romano. Male antico, il nostro. Del quale bisogna guarire. Fino a quando padroni della piazza saranno i tribuni, il duce sarà immanente nella storia d’Italia.”
(Camillo Berneri, 1936)
Se compri questo biglietto (il referendum) , vuol dire che hai già perso (come in effetti è).
? Non ho capito…
Riconosco di aver sintetizzato un po’ troppo, diciamo che i giochi sono stati fatti (male per noi) ben prima (almeno già con Lisbona); quando ci chiamano al voto è per fare i loro affari ancora una volta.
Beh, una vittoria del NO al referendum avrebbe comunque una forte valenza politica per l’implicito rifiuto di subordinare la Costituzione alle esigenza eurocomunitarie, che quella riforma pretendono.
Se non altro, ove fosse disatteso, altri si aggiungerebbero alla schiera di chi ritiene che quello che viviamo è un regime anti-democratico, oltreché anti-sociale. Un po’ poco, lo riconosco. Del resto, come diceva Mark Twain, se le elezioni servissero a qualcosa non ce le farebbero fare 😦