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Padoan e le previsioni del tempo
Il Corriere della Sera sera pubblica un’intervista al Ministro dell’economia Padoan. Sintesi: “La paura del terrorismo può pesare sulla crescita“.
Colpisce la risposta alla domanda se l’obiettivo per il 2016 (PIL +0,9%) a questo punto è ancora valido: “Non è un obiettivo – puntualizza il Ministro – è una previsione“.
Quella che dopo varie denominazioni nel tempo è arrivata a chiamarsi, sommessamente, “Legge di stabilità” è dunque un documento di previsione passiva, un vaticinio buono tutt’al più a determinare l’entità degli interventi fiscali (maggiori tasse e/o tagli alla spesa) necessari a mantenere il bilancio dello Stato entro i parametri fissati dal “ce lo chiede l’Europa”.
Una metodologia, insomma, ispirata a quella di un Ufficio meteorologico qualunque (che tuttavia si basa sull’interpretazione di elementi meno manipolabili); con un Ministro dell’economia nel ruolo analogo a quello dei vari omini del tempo.
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Leggere le tue riflessioni è un piacere che si rinnova ogni volta, accresciuto nel tempo.
Mi hai fatto venire in mente un vecchio sonetto di G.G.Belli, abusatissimo nell’uso della sua battuta più riuscita. Si tratta de “Li soprani der monno vecchio” (“I sovrani del mondo antico”); è nel dialetto romanesco di inizio ‘800 (molto più ostico della parlata imbastardita di oggi), ma rende benissimo l’idea di questo ministro, con tutta la difficoltà di capire se sia suddito, vassallo, o principe, nell’indefinitezza (inutilità) del suo ruolo. In ogni caso, per dirla con le parole del Belli, un gran “bbuggiarone”.
Belli è sempre illuminante e fonte di ispirazione. Il sonetto a cui fai cenno, che non conoscevo, andrebbe fatto studiare a scuola. (Tra l’altro non sapevo che la celeberrima osservazione del Marchese del Grillo, nel film omonimo, “Io so’ io, e vvoi nun zete un cazzo” venisse da qui). A parte la lingua, non si direbbe proprio che sono trascorsi duecento anni: anche noi, nel nostro piccolo, siamo vendibili “un tant’er mazzo”, e il sovrano che storce e raddrizza a suo capriccio, fonte della legittimità, non è poi una figura così peregrina ai giorni nostri, anche se non si presenta in termini così espliciti.
Trascrivo il frutto della ricerca, a beneficio di chi legge:
LI SOPRANI DER MONNO VECCHIO
(di Giuseppe Gioacchino Belli)
C’era una volta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
– Io so’ io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pozzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà, nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo.
Co st’editto annò er boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e, arisposero tutti: E’ vvero, è vvero.