Democrazia e dintorni.

Dal libro di Jan-Werner Müller, L’enigma della Democrazia (Einaudi 2012), alcuni passaggi del capitolo 4 (Il Pensiero della Ricostruzione ).
Enfasi mie.

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“Dal momento in cui lo standard assiologico generale viene accettato dalla comunità, le funzioni dello Stato diventano così tecniche che la pratica politica sembra una sorta di statistica applicata“. (Herbert Tingsten, 1955).

[…] Il consenso era giustificato dall’assoluta importanza della stabilità e quest’ultima trovava a sua volta la propria giustificazione nella necessità di sicurezza.

Nel 1966 Karl Loewenstein asseriva in conclusione che il compito di controllare l’apparato burocratico , assegnato da Weber al Parlamento, era ora svolto efficacemente dalle Corti, mentre il “parlamentarismo, che nell’Ottocento era sembrato la summa di ogni saggezza politica, viene ora a subire […] una sostanziale svalutazione”.

Le Corti costituzionali […] dovevano essere indipendenti dai parlamenti e fondate sul giusnaturalismo e altri sistemi di valori assoluti (cosa che contraddiceva direttamente uno dei maggiori postulati filosofici di Hans Kelsen, cioè che la democrazia comporta una forma di relativismo assiologico).

L’integrazione europea era parte integrante del nuovo “ethos costituzionalista“, caratterizzato da un’innata sfiducia nella sovranità popolare […].
I paesi membri della Comunità europea affidavano consapevolmente il potere a istituzioni che non erano nate da elezioni interne e a organismi sovranazionali, al solo fine di mettere al sicuro l’assetto liberal-democratico e scongiurare ogni rigurgito di autoritarismo.

Due decisioni fondamentali della Corte di giustizia europea rafforzarono questo “senso” dell’Europa, assumendo il carattere di ulteriori limiti alla democrazia elettiva.
Queste due pietre miliari, poste nel 1963 e nel 1964, stabilivano che le leggi della Comunità europea godevano della supremazia su quelle nazionali e avevano un effetto diretto sugli Stati membri, intendendo con questo che i singoli cittadini potevano appellarsi nei tribunali nazionali alla legislazione della comunità europea, che veniva così applicata nei confronti degli Stati membri.

La Corte di giustizia europea, molto sicura di sé, annunciò che “aderendo a una comunità di durata illimitata […]  gli Stati membri hanno ristretto i loro diritti sovrani, seppure in ambiti ben definiti, creando così un corpo legislativo vincolante per i singoli paesi quanto per i loro cittadini”.

Nel 1969 i giudici aggiunsero inoltre che i diritti umani fondamentali erano di fatto “inclusi nei principi generali della legge comunitaria e protetti dalla corte europea di giustizia” benché i trattati originari neppure menzionassero tali diritti. La scoperta, o piuttosto l’invenzione dei diritti umani era stata alimentata dal timore che le Corti costituzionali della Germania dell’Italia potessero opporsi alla legislazione europea in nome dei diritti fondamentali espressi nelle rispettive costituzioni nazionali.

[…] La Corte di giustizia europea era riuscita a conquistarsi una posizione di straordinario potere giuridico (riconosciuto e accettato perlopiù sia dai tribunali sia dai governi nazionali).

[…] Fatta eccezione per la Gran Bretagna, l’idea di una supremazia parlamentare praticamente illimitata cessava di considerarsi legittima. L’indebolimento dei parlamenti ebbe come rovescio della medaglia il rafforzamento del potere esecutivo.
Le motivazioni della democrazia risiedevano non tanto nel fatto che le opinioni dei cittadini fossero efficacemente rappresentate in Parlamento quanto nella garanzia di un cambio regolare delle elite al governo attraverso le consultazioni elettorali.

Era praticamente il concetto di democrazia espressa da Joseph Schumpeter, il quale sosteneva che non esisteva nulla che potesse definirsi una volontà popolare coerente; egli negava inoltre che la partecipazione la vita politica rivestisse qualche importanza per la gente comune [.…]

La competizione tra i gruppi dirigenti per accaparrarsi i voti era una buona cosa, il resto dell’ideologia democratica era pura illusione, come pure la speranza di Weber di veder in una politica che costituisse una sfera indipendente dall’economia e fosse in grado di creare un senso collettivo. Secondo il laburista Tony Crosland: “l’esperienza dimostra che soltanto un’esigua minoranza della popolazione desidera partecipare alla politica… mentre la maggioranza… preferirà sempre condurre una quiete vita familiare e coltivare il proprio giardino”.

La politica pertanto non era considerata una particolare fonte di significato, anzi non lo era considerata affatto. […] “Mancava un senso della sfera pubblica come luogo di libertà collettiva” (Hannah Arendt).

I liberali europei ponevano l’accento sulla libertà negativa, ovvero l’assenza di interferenze nella vita del singolo. Era questo l’unico genere di libertà che presumibilmente non avrebbe generato l’incubo del totalitarismo […]. Questa apparente autolimitazione finiva per dare vita a una forma ridotta di democrazia. Agli occhi di osservatori come la Arendt un simile liberalismo restrittivo rafforzava in realtà l’isolamento “dell’uomo della massa”, rendendo più probabile il risultato perverso di un ritorno al totalitarismo.

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Informazioni su Mauro Poggi

Fotodilettante Viaggiamatore
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2 risposte a Democrazia e dintorni.

  1. aldoricci ha detto:

    il resto dell’articolo non si legge… appare la scritta “non trovato”…

  2. Mauro Poggi ha detto:

    In effetti l’ho trovato ancora fra le bozze, stranamente… Ora dovrebbe essere accessibile.

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