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Il 13 dicembre 1978 un allora ancor giovane Giorgio Napolitano prendeva parola alla Camera per esprimere le sue forti perplessità (e quelle del suo partito) all’ingresso dell’Italia nello SME – l’antesignano dell’Euro, che sarebbe poi avvenuta esattamente quattro mesi dopo, il 13/03/1979. Il testo dell’intervento lo si può leggere nel resoconto stenografico di quella giornata, a partire da pagina 24992. Per chi andasse di fretta, cito i passi più significativi che già avevo avuto occasione di riportare in un mio post dell’anno scorso:
“…la conferma di una sostanziale resistenza dei paesi a moneta più forte, della Repubblica federale di Germania, e in modo particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi ed a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle monete e delle economie di paesi della Comunità. E così venuto alla luce un equivoco di fondo … di cui l’accordo di Bruxelles ha ribadito la gravità: se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania federale e spingendo un paese come l’Italia alla deflazione…
Non voglio ripetere le considerazioni… sui motivi che impongono e giustificano un particolare sforzo del nostro paese per conseguire un più alto tasso di crescita, e sul rischio invece che i vincoli del sistema monetario, quale è stato congegnato, producano effetti opposti. […] le regole dello SME ci possano portare ad intaccare le nostre riserve e a perdere di competitività, ovvero a richiedere di frequente una modifica del cambio, una svalutazione ufficiale e brusca della lira fino a trovarci nella necessità di adottare drastiche politiche restrittive [… ] La verità è che forse si è finito per mettere il carro di un accordo monetario davanti ai buoi di un accordo per le economie“.
Tanta lucidità e lungimiranza si è dissolta con gli anni. Grazie alla rete, molti sono venuti a conoscenza di quell’intervento, e in tanti si chiedono perché re Giorgio abbia rinnegato quelle posizioni che il tempo ha dimostrato essere profetiche. Lo fa anche Doppiocieco, in una lettera aperta che trascrivo. Mi piacerebbe che la domanda diventasse virale, come a volte in rete succede. Non tanto perché spero in una risposta dell’interessato, quanto perché ogni domanda, se è una buona domanda, la sua risposta l’ha già in sé.
Doppiocieco: Alcune domande al nostro Presidente
Caro Presidente, nel 1978, quando era ancora vivo il PCI e lei ne rappresentava l’anima cosiddetta migliorista, fece un discorso alla camera talmente veritiero che sembrava uscito da una palla di vetro, una porta aperta con sul futuro. Il suo discorso mostrava chiaramente le distorsioni di un sistema monetario dove, senza gli opportuni riequilibri, la perdita di competitività dei paesi deboli non avrebbe lasciato altra scelta agli stessi che il taglio dei salari, e questo solo per poter stare al passo con i cosiddetti paesi forti come la Germania. Non vorrei ripetere la solita domanda che molti, considerata la sua attuale fedeltà incondizionata ai dettami dell’Europa di Mastricht, le rivolgono: “cosa le ha fatto cambiare idea ?” Ognuno è libero di cambiare idea, ma una domanda vorrei fargliela: ne è valsa la pena? Abbracciare in buona sostanza il credo liberista, sia esso di derivazione austriaca o a stelle e strisce formato Chicago Boys, le è parsa una buona idea? Non le sono bastate le tante dimostrazioni del fallimento del liberismo e della finanziarizzazione dell’economia di cui questa ennesima crisi è figlia? Davvero le sembra corretto, soprattutto in tempo di crisi, tagliare la spesa pubblica, ridurre le garanzie del lavoro, privatizzare i beni pubblici e accentuare la deregolamentazione dell’economia e della finanza? Non le dicono niente il default argentino, le varie crisi asiatiche (vedi Russia nel 98) e messicane, e oggi il grido di dolore e di vendetta del Brasile che vive la schizofrenia di un governo di sinistra costretto a muovere le leve di un’economia liberista? E la Grecia? Impoverita e spolpata con una giustificazione pseudo-moralistica di aver barato sui conti o di non avere fatto bene i compiti.
Forse sto dicendo assurdità, cose senza senso, io non capisco niente di economia lo ammetto, ma se è così vorrei che lei mi spiegasse, mi facesse capire, mi convincesse che non c’era altra strada se non quella di ridurre drasticamente i consumi delle famiglie europee, accentuare le diseguaglianze con trasferimenti immani di ricchezza e abdicare completamente alla propria sovranità nazionale a favore di organismi non elettivi come la BCE. Prego? Vuole forse dirmi che non c’era rimedio alle trappole delle liquidità, una spirale perversa che avrebbe portato a un consumo forsennato delle risorse da parte di un mondo sempre più sovrappopolato? Vuole dirmi che le speculazioni dei banchieri erano un male necessario? Come l’aver trasformato un debito privato in debito pubblico, tutto sulle spalle dei cittadini poveri? Ma se si voleva attuare una rivoluzione che limitasse i consumi e contenesse l’uso delle risorse, era necessario far arricchire a dismisura una piccola percentuale di gente già ricca e portare alla rovina intere nazioni? Non era più facile conciliare una politica di redistribuzione dei redditi con una rivoluzione dei consumi attraverso scelte ecologiche oculate, che avrebbero prodotto occupazione, risparmio delle risorse e minore inquinamento? Crede davvero che l’austerità potrà produrre una migliore crescita? E fra quando? Non le sembra che una politica senza restrizioni né regole per la finanza e per un capitalismo globale con licenza di predare, grazie anche alla benevolenza dei vari trattati internazionali, concepiti nelle oscure stanza del WTO, abbia prodotto un deregulation da una parte e una “regulation” capestro per gli stati deboli dall’altra, lasciando sul campo solo macerie? Non so perché lei creda nella inevitabilità di scelte economiche così palesemente inique, ma ho il sospetto che ci sia una sorta di costrizione in ciò. Non sono un complottista e credo nella sua buona fede, ma proprio per questo la mia ragione vacilla, perché da un lato vedo chiaramente, come chiunque, gli errori e gli orrori di questa politica economica, dall’altra sento persone sagge come lei così convinte che andare verso il baratro non solo sia giusto, ma anche conveniente. C’è qualcosa che decisamente non torna. Non voglio certo piegare la realtà alle mie convinzioni, ma qui è la realtà che ci sta piegando le spalle e che chiede di essere ascoltata.
La spiegazione più semplice a voler essere maligni è che qualcuno l’abbia costretta suo malgrado a rendersi complice di un autentico misfatto o che lei abbia considerato inevitabile tutto ciò al fine di salvaguardare la classe politico-sociale a cui lei appartiene, ma io credo nella sua buona fede e per una volta lascerò perdere il rasoio di Occam e prenderò in considerazione risposte più complicate. Talmente complicate che credo che non verrò mai a capo di questo enigma.
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